LA VISIONE DI BORSO D'ESTE IN LUCE



Il linguaggio dell’illuminazione in una nuova prospettiva di contemplazione degli affreschi del Salone dei Mesi a Palazzo Schifanoia


È parte della natura umana il desiderio di discernere e cogliere il senso delle cose attraverso un impulso volto alla rivelazione, alla scoperta dei segreti che si celano nella sublime ricchezza della composizione artistica. Lo stesso Aby Warburg non si risparmia nell’indicare un metodo di ricerca nel quale “cercando di illuminare con cura ogni singola oscurità, illumina i grandi momenti dello sviluppo generale nella loro connessione”. Probabilmente il desiderio del “portare alla luce” il recondito significato celato nel segno e nel suo essere parte di un tutt’uno, in una composizione ricca e complessa, appartiene all’uomo quanto l’opera d’arte dipende dal fenomeno luminoso, in particolare se ingegnato dal talento della messa in scena. Nella conoscenza dei sensi percettivi e della rappresentazione evocatrice si trova una dimensione d’incontro tra storia e techne, tra la profondità del gesto creativo e lo strumento che ne amplifica le forme di lettura e di interpretazione. La luce è parte attiva indissolubile di questa dimensione esplorativa, costituisce, allo stesso tempo, l’ingrediente primordiale dell’esplorazione conoscitiva ma rappresenta anche la materia energetica che provoca il degrado irreversibile della sostanza palpabile. Così, nel Salone dei Mesi parte del mistero e del fascino è proprio causato dal rapporto di presenza assenza delle superfici affrescate, innesco di un’intrigante scacchiera di scene e non scene, di sintassi iconiche compiute che si alternano tra vuoti, pieni e frammenti residui più o meno casuali.

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LIGHT ON THE VISION OF BORSO D'ESTE



The lighting language in a new contemplation perspective of the frescoes in the Room of the Months at Palazzo Schifanoia


The desire to discern and grasp the meaning of things swept forward by an inner impulse towards the revelation and the discovery of the secrets that are hidden in the sublime richness of artistic composition is part of human nature. The same Aby Warburg was not shy in indicating a research method in which “attempting to carefully illuminate every single spot of darkness, brings light on the great moments of general development in their connection.” Probably the desire to “bring to light” the hidden meaning concealed in the sign and in its being part of a whole, in a rich and complex composition, belongs to man as much as the work of art depends on the phenomenon of light, especially if the latter is ingeniously staged. In the knowledge of the perceptual senses and the evocative representation there is a dimension of encounter between history and technology, and also between the depth of the creative gesture and the instrument that amplifies its forms of reading and interpretation. Light is an indissoluble active part of this exploratory dimension; it is, at the same time, the primordial ingredient of cognitive exploration but also the energetic matter that causes the irreversible degradation of the palpable substance.

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